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Economia e società nel medioevo cinese






Quattrocento anni di divisione politica fra Nord e Sud della Cina erano un fenomeno destinato a produrre differenze notevoli, pur senza scalfire gli elementi fondamentali di continuità (confucianesimo, buddismo, idea imperiale, civiltà cinese); ma perché fu il Nord a ricomporre l’impero e non il Sud?

 

Inizialmente la risposta era ovvia: il sud era spopolato ed arretrato rispetto al Nord; ma questo svantaggio iniziale si livellò in gran parte durante gli anni caotici dei sedici regni nel Nord, quando moltissimi contadini settentrionali (e con loro anche molte grandi famiglie) furono costretti ad emigrare nel Sud per sfuggire alle guerre continue fra le popolazioni barbariche. Il vero motivo quindi, è in realtà costituito dalle differenti evoluzioni che le strutture di potere sociale ebbero nel Regno settentrionale e nel Regno meridionale fra il III e il IV secolo. Nel sud le grandi famiglie continuarono sempre a dominare il potere politico ed economico, attraverso il controllo dell’amministra-zione statale e la proprietà latifondista. A parte rare parentesi il potere centrale, nello stato meridionale, fu quasi sempre ridotto alla veste di pura facciata. Si era insomma riprodotta la situazione che aveva provocato il crollo del Primo impero: un debole potere centrale soffocato dai giochi di potere fra poche grandi famiglie, che monopolizzavano tutta la terra e i ruoli chiave dell’amministrazione. Al Nord invece questo non avvenne, ovvero avvenne solo in misura minore. Ciò era dovuto inizialmente a due fattori: per primo era maggiormente indispensabile un potere centrale forte in grado di occuparsi del controllo delle acque, e secondo, il potere politico era spessissimo detenuto da popolazioni di origine barbara, che per quanto sinizzate, costituivano tuttavia un elemento diverso e contrastante rispetto al sistema cinese delle grandi famiglie.

 

Questa situazione non sarebbe tuttavia forse bastata. Ad immettere il Nord sulla strada che avrebbe portato alla riunificazione dell’impero fu l’opera riorganizzatrice avviata dai Tuoba (Wei settentrionali), in particolare la riforma della perequazione agraria. Essa pendeva come riferimento base la ‘famiglia di letto’ cioè la coppia uomo donna e non la famiglia estesa, che spesso costituiva una vera e propria finzione utilizzata dai grandi proprietari per evadere le tasse. Ad ogni famiglia di letto lo stato dava in coltivazione un fondo di 40 mu per ogni maschio adulto e di 20 mu per ogni donna, con integrazioni aggiuntive per ogni schiavo a capo di bestiame posseduto. Il fondo apparteneva allo stato ed era quindi inalienabile per legge. Questi fondi -che in genere furono ricavati dalle terre abbandonate dai contadini e dalle grandi famiglie fuggite a Sud- avrebbero dovuto essere restituiti allo stato alla morte della coppia famigliare. In questo senso anche i precedenti disastri militari e politici si risolsero in un bene, poiché avevano reso disponibili questa grande quantità di terre senza le quali la riforma agraria non sarebbe mai potuta cominciare. Oltre ai risultati pratici: le campagne si ripopolarono di contadini indipendenti a tutto vantaggio delle casse dello stato e delle grandi opere di controllo delle acque; la riforma ebbe anche un importantissimo valore di principio: si ristabiliva infatti l’antico principio della Cina arcaica, secondo il quale lo stato era l’unico proprietario della terra, che dava in prestito ai contadini affinché la lavorassero a vantaggio dell’intera collettività. In quest’ottica sia le tasse pagate dai contadini autonomi che quelle pagate dalla grande proprietà diventavano il costo dell’affitto della terra di proprietà dello stato. Si recuperava l’antico ruolo dello stato di detentore assoluto delle risorse, con i sudditi suoi servitori a lavorare la terra, al fine di produrre qual sovrappiù di risorse necessarie al mantenimento di quell’apparato politico-istituzionale senza il quale il mondo agricolo e l’intera società non sarebbero stati in grado di funzionare. Il lettore occidentale deve qui comprendere la diversità del mondo cinese: un mondo grande e popoloso che senza la presenza di un forte potere centrale non sarebbe riuscito ad autoregolarsi e sarebbe inevitabilmente collassato. Sarebbe come pensare all’Impero romano senza Roma, ossia senza un centro forte in grado di mantenere aperte le strade, difendere i confini dai barbari e prevenire le spinte separatiste dei vari popoli. Il mondo cinese aveva bisogno della sua “Roma” per tutti questi motivi e in più per il controllo delle acque di fiumi grandissimi come lo Huang He o per l’irrigazione delle sue immense pianure. La riforma della perequazione restituiva al potere centrale la base sociale per produrre questo sovrappiù, i contadini autonomi, e ristabiliva con questo la possibilità di restaurare l’impero. Essa (la riforma) sarebbe stata mantenuta dalle dinastie successive e avrebbe costituito la colonna portante del Secondo impero.


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